L’anno secondo me
L’anno secondo me

L’anno secondo me

In un’epoca in cui la gente ama rivendicare qualsiasi cosa, anche ciò che non è e non può essere (ma non scendo in dettagli), oggi mi prendo la soddisfazione di rivendicare la mia particolare visione dell’anno.

L’anno secondo Alex inizia il giorno 1 settembre. In realtà posizionerei questo inizio il giorno 1 ottobre e non è detto che un giorno non lo faccia, tanto ormai si può essere, “sentirsi” e scandire la propria vita come si vuole, ma a settembre sono affezionato: è il mese in cui cade il mio compleanno, precisamente il giorno 6, per cui mi dispiacerebbe vederlo come ultimo mese dell’anno; in questo caso si tratta di una pura ragione sentimentale, perché, soprattutto da quando vivo a questa latitudine climaticamente infelice per me, settembre rimane un mese di sofferenza: afa e caldo, caldo e afa, aggravati da quell’illusione di essere ormai alla fine di questo incubo, salvo poi rassegnarsi a continuare ad accendere il ventilatore notte dopo notte e passare un altro giorno, e poi un altro ancora, ad asciugarsi il sudore sperando in un “brusco abbassamento delle temperature” che arriverà, appunto, solo a ottobre, o magari pure a novembre (ma preferisco non pensarci).

Ricordo i “miei” settembre in Friuli: mese in cui di notte già si cominciava a dormire con la copertina (ora mi dicono che nemmeno lì è più così scontato), in cui si andava a funghi e il bosco era fresco e rugiadoso, i colori della Natura cominciavano ad assumere le tonalità più disparate e l’atmosfera generale si ricopriva di quell’impareggiabile aura di romanticismo che solo l’autunno, nella mia personale visione dell’anno, è capace di dare. Settembre è sempre stato per me l’inizio, il “la”, il comando del direttore d’orchestra che dava inizio al mio ritorno alla vita. Qui a Mallorca, mio malgrado, mi tocca aspettare ottobre per provare una sensazione simile, seppur affievolita, ahimé, dalla latitudine. Però settembre resta comunque il mese in cui accendo il motore.

Arriva poi ottobre, il mese dell’esplosione della mia anima e del mio corpo: le temperature si abbassano, l’energia riprende a fluire in me dalla punta dei capelli a quella dei piedi, mi elettrizzo, mi torna la voglia di vivere e di trattarmi bene, dopo l’angoscia dell’estate che infonde in me solo apatia e comportamenti autodistruttivi, soprattutto sul piano alimentare. Ottobre è senza dubbio il mese della mia rinascita spirituale e intellettiva: mi torna la voglia di fare, di vivere, di entrare in contatto con la Natura e anche con le persone. In ottobre ricomincio ad essere un uomo di compagnia, propositivo, generalmente allegro e, spero, gradevole. Se mi trovo a latitudini più alte, meglio ancora, ma mi posso accontentare.

Novembre, eh sì… a novembre non ci sono dubbi: finalmente rientro del tutto nella mia dimensione: alberi dai colori sgargianti, tappeti di foglie al suolo, giornate tiepide, pioggia romantica e rassicurante, boschi gocciolanti, intensi profumi dalle note calde e “croccanti”, giornate corte che terminano in tramonti strabilianti, per poi poter immergersi in un’ovattata tranquillità o tuffarsi nelle luci della città per godersi le persone che, in quest’epoca dell’anno, anche senza saperlo o volerlo, sono pervase da un’aura incantata che le fa sembrare tutte più calme, più buone, capaci di sorrisi più veri. Quest’atmosfera, che a molti, forse più a parole che altro, mette tristezza, a me invece regala il momento più alto a livello animico. Se si vuole qualcosa da me, questo è il periodo giusto per chiedermelo: molto probabilmente dirò di sì, soprattutto se la richiesta avviene in un ambiente intimo, riscaldato da un buon vino rosso, castagne, funghi, noci, un camino acceso e quei primi, sottili, maglioncini. Se poi fuori piove, bingo. Se hanno già acceso le luci di Natale in città, che te lo dico a fare.

Le luci di Natale, come un’autostrada, portano dritte a dicembre, mese che amo, sebbene con una certa nota malinconica dovuta al fatto che, al suo termine, la maggior parte di quella magia che ha iniziato a fiorire a settembre, svanirà. Seppur amplificate da una certa artificialità natalizia, le sensazioni che mi regala dicembre sono molto intense e piacevoli: anche l’arrivo dei primi veri freddi fa la gioia di questa mia strana anima: un’anima che cerca l’intimità, il silenzio, il raccoglimento ma anche il divertimento, purché sia discreto, cercato, non invadente. Amo le strade in cui incrocio poche persone, per poi aprire una porta e ritrovarmi nel calore di un locale accogliente, magari anche affollato, per dovermi togliere il cappotto e poi rimettermelo quando esco, per rituffarmi nel buio e nel silenzio della notte, con le mie persone o anche da solo, per elaborare i miei pensieri confortato da un’aria secca e frizzante o, meglio ancora, coccolato da quella foschia che mi infonde voglia di intimità.

Gennaio e febbraio sono mesi che apprezzo, seppure il progressivo allungarsi delle giornate mi mette una certa ansia al pensiero dell’inesorabile avvicinarsi di quella che la stragrande maggioranza delle persone chiama “bella stagione”, ma che per me non lo è affatto. Ciononostante, cerco di godermeli il più possibile sfruttando tutto ciò che offrono: lunghe camminate in una natura assopita, a volte colpita dalle sferzate dell’inverno, in un’atmosfera per me affascinante, che prelude a serate comunque piacevoli, sia da solo che in compagnia, in un’atmosfera ancora rilassata e “fragrante” che mi fa sentire vivo. Se poi l’inverno è nevoso, almeno sulle montagne, meglio ancora. Alle mie latitudini attuali, però, non è un’opzione.

Marzo: qui lo stato d’animo inizia a scricchiolare. Se a Udine questo mese non rappresentava per me un campanello d’allarme, essendo ancora a pieno titolo un mese invernale ed essendo la mia città e la mia regione un territorio, per fortuna secondo me, sempre praticamente uguale a se stesso, a Mallorca la situazione è diversa: cominciano ad aprire gli hotel e le strutture stagionali e cominciano ad aumentare i turisti… non quelli discreti dell’inverno che vengono, in numero non apprezzabile, per godersi una città d’arte come Palma o vivere il silenzio delle campagne e delle montagne di quest’isola meravigliosa, ma quelli che arrivano in gruppo a fare rumore, ad accrescere troppo l’entropia: i primi sono i ciclisti, preludio all’angoscia e all’inferno che esploderà solo pochi mesi dopo. Solo se marzo è freddo e piovoso come lo è stato quest’anno riesce a restare aggrappato ai mesi che considero “buoni”.

Aprile e maggio rappresentano per me l’inizio della frana: ormai è tutto aperto, l’invasione è iniziata, non posso più fare una gita in santa pace senza ritrovarmi fra orde di ciclisti che occupano anche le strade più nascoste o pullman che arrancano sulle strade di montagna, togliendomi la visuale, la fluidità, il piacere del percorso e la tranquillità della meta. Il tutto, almeno qui, con l’aggravante del vento: aprile e maggio sono due mesi molto ventosi, per cui anche se decido di sopportare ciclisti, pullman e destinazioni piene, alla fine nemmeno riesco a godermi quel primo tiepido sole che non riesce ancora ad essere fastidioso, perché il vento rovina tutto.

Giugno: la porta dell’inferno. Non fa ancora troppo caldo ma mi sento letteralmente violentato da quella che è la sola industria che muove quest’isola: il turismo. Siamo letteralmente alla mercé della massa: rumore dappertutto, orde di giovani dagli ormoni scatenati che, nelle zone più “calde” della balneazione maiorchina, rendono prosaico qualsiasi paesaggio, qualsiasi scorcio. Ora inizia il periodo in cui non vado da nessuna parte perché tanto, anche se mi sciroppassi 70 km per allontanarmi da qui, troverei sempre tutto invariabilmente pieno di gente. A giugno è quando inizio a perdere la voglia di qualsiasi cosa, l’umore mi scende sotto i piedi, mi rinchiudo nel mio piccolo mondo fatto di casa, lavoro, bar e poco altro, facendo passare le giornate ed aspettando solo che ne finisca un’altra.

L’apoteosi dell’angoscia, poi, è rappresentata dai mesi di luglio e agosto. A causa anche della mia poca sopportazione del caldo che dà luogo, quando mi trovo sotto stress, a episodi poco piacevoli di colpi di calore ed abbassamenti repentini della pressione, mi ritrovo a smettere di praticare lo sport che più mi piace, ovvero camminare. Invero, lo farei all’alba con il fresco (sono diventato, incredibile a dirsi, un gran mattiniero), ma con le orde di gente ubriaca che rientra in hotel dopo aver fatto nottata in giro e tutto il corollario di urla, sporcizia e aggressività, nonché una certa dose di rischio, mi passa la voglia anche di quello. In luglio e agosto il mio cervello non funziona: mi riesce estremamente difficile essere me stesso, creare, esprimere entusiasmo, fare qualcosa di costruttivo. Anche solo lavorare, facendo quello che amo fare e che so fare da oltre tre decenni, mi costa una fatica tremenda. Il caldo opprimente uccide in me ogni ispirazione, ogni iniziativa. Queste lunghe, angoscianti giornate, rotolano lentamente senza che la ricetta cambi mai: caldo, caldo e ancora caldo, afoso e insopportabile: un caldo da cui non posso fuggire se non andandomene letteralmente da qui, perché martella di giorno e di notte senza tregua, giorno dopo giorno, in un’interminabile sequenza di giorni tutti uguali, eterni, dai quali non riesco a trarre alcun piacere se non dal frigo, in forma solida o liquida. Allora mangio e bevo nervosamente, non perché voglia farlo ma perché ne sento il bisogno. Ogni mattina mi alzo con il proposito di darci un taglio e rimettermi in carreggiata, ma dopo poche ore mi ritrovo ad affogare l’angoscia di queste schifosissime giornate nella birra e nelle porcherie, con la speranza di poter dormire qualche ora profondamente se non altro per la sbornia, perché altrimenti anche le ore da sopportare sono troppe, fra continui risvegli, cuscini e lenzuola inzuppate e umore sotto i tacchi.

Mi ritrovo in questo 6 agosto, un sabato, giorno in cui il mondo intorno a me fa faville, nella mia torre d’avorio a scrivere questo mio personale “calendario”, dopo l’ennesima giornata in cui il caldo mi ha fatto scendere al bar con l’intenzione di bermi un’acqua frizzante per poi finire, invariabilmente, a stordirmi di birra per superare un pomeriggio in cui non si muoveva una foglia e c’erano 38 gradi. Meno male che ho comprato il ventilatore da soffitto.

Sono in terrazza. La mia vicina ha la TV accesa: ho ascoltato uno spot televisivo che parlava della “nuova collezione autunno-inverno”. Realizzo che tra non molto sarà “Capodanno”.

Qualcosa in me, seppur flebilmente, ricomincia a muoversi.

5 1 vote
Article Rating
Subscribe
Notificami
guest

3 Commenti
Oldest
Newest Most Voted
Inline Feedbacks
View all comments
Lu*
Lu*
1 anno fa

Wow! Scrivi benissimo!!! Complimenti.
Complimenti anche per la sincerità. Per aver scritto dei tuoi momenti “no”. Spesso sembra un tabù l’essere in una fase negativa (passami il termine, non sono brava come te!), altre volte ho la sensazione che le persone fingano. Come se non ci fossero vie di mezzo: o sorridenti e perfetti, o imbronciati e coi capelli scarmigliati. La sincerità è una boccata d’ossigeno. Grazie.
p.s. Mi piace l’idea di un proprio capodanno.

trackback

[…] si era capito già dall’articolo in cui analizzavo la mia concezione di anno, dal quale traspariva una certa insofferenza per la situazione in cui mi trovavo al momento in cui […]

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com
3
0
Would love your thoughts, please comment.x